Borgo Campidoglio monarchico: Via Cibrario (25 aprile 1945-2 giugno 1946)
VIA CIBRARIO
LaStampa 21/07/1945
Come cì si deve comportare all’alt delle pattuglie di ronda
LaStampa 13/10/1945
Onoranze a Caduti
LaStampa 16/10/1945
LaStampa 01/02/1946
L’orefice di via Cibrario rapinato da due ragazzi
LaStampa 02/02/1946
Passar bene il Natale o finire alle “Nuove”
Sitografia
http://www.archiviolastampa.it/
http://www.mqcvisions.net/TorinoSparita/
http://www.museoarteurbana.it/morte-dellorologiaio-aldo-morej-in-via-cibrario-il-23-dicembre-1943/
http://www.museoarteurbana.it/ospedale-maria-vittoria-via-cibrario-72/
http://www.museoarteurbana.it/largo-perotti-1950-c-a/
https://archiviomautorino.wordpress.com/2015/11/16/una-piazza-per-due-martiri/
https://www.youtube.com/channel/UCWQboYi8-qpe1lcV2gLccoQ
http://www.lacivettaditorino.it/la-tomba-di-guido-gozzano-e-il-suo-meleto/
La ex Casa Centrale del Balilla e il Cinema Bernini
A Torino i lavori per la costruzione della casa centrale del Balilla iniziano nel 1929 in un’area ceduta gratuitamente dal Comune; l’Opera Nazionale Balilla (ONB) affida il progetto e la direzione dei lavori al giovane ingegnere Costantino Costantini (1904-1982): i lavori per la costruzione della casa centrale del Balilla iniziano nel 1929 e si concludono nel 1931.
L’edificio si articola in un corpo centrale di due e tre piani fuori terra e un piano sotterraneo, con prospetto principale affacciato sull’esedra di piazza Bernini da cui si dipartono in modo simmetrico due ali divergenti lungo corso Tassoni e via Medici. All’interno, il piano terreno ospita l’atrio d’onore con la “Statua del nuotatore”, opera dello scultore Gaetano Orsolini (1884-1954), l’ambulatorio, una palestra, una sala cinematografica, la sala ritrovo dei balilla e la sala istruttori. Dallo scalone a doppia rampa si accede al primo piano dove sono collocati uffici, aule, la biblioteca e i servizi. All’ultimo piano si trovano gli alloggi dei custodi e i dormitori. Un elemento di particolare interesse è la piscina realizzata nel sotterraneo, all’interno di una struttura portante in cemento armato indipendente dal resto dell’edificio.
Dopo la guerra, ospita il Teatro dell’I.R.I AS nel 1945, è sede di un cinematografo e del Provveditorato agli Studi, poi dell’ISEF (Istituto Superiore di Educazione Fisica), infine oggi è sede del SUISM, Scuola Universitaria Interfacoltà che forma specialisti in scienze motorie.
In Piazza Bernini nel 1946 il Cinema Iris “è sempre gremito”, mentre nel 1947 il Cinema Teatro Titania offre spettacoli di cinema e varietà. Diventerà Bernini nel 1949.
Il cinema Bernini (già Iris e poi probabilmente Titania) ha una bella sala negli anni 1970 uno dei ritrovi del Movimento studentesco, con film tipo Easy Rider. Il gestore era Varvello, uno dei più anziani distributori cinematografici di Torino, già dagli anni Venti, con la Cervino Film, marchio poi rilevato da Bolonotto, re del porno di Via Pomba.
Il cinema Bernini era una normale sala cinematografica, dava solitamente film commerciali, d’altra parte a quell’epoca nessuno aveva ancora sentito parlare di cinema d’essé. Però ogni tanto il proprietario, chiaramente per suo sghiribizzo personale, dava film che normalmente non si vedevano nelle altre sale.
Minimo una volta all’anno c’era una breve serie di Bergman.
“Quella volta che hanno dato il Marat-Sade, in sala c’era tutto il Movimento Studentesco. Dalle prime file ad un certo punto si alza in piedi Aldo, detto Bellarmino per la somiglianza con il Cardinale, guarda indietro e dice ridendo: Qui si potrebbe fare un’assemblea.”
Chiude definitavemente nel 1983.
SITOGRAFIA
https://icinemaatorino.wordpress.com/2015/01/27/cinema-bernini-gia-cinema-iris-corso-tassoni-3/
http://www.torinocittadelcinema.it/schedafilm.php?film_id=1209&stile=large
http://www.museotorino.it/view/s/829f02aead1d4ea38488c13de40fa4a0
Borgo Campidoglio monarchico: la vita quotidiana negli ultimi mesi della monarchia in Italia, dalla Liberazione al referendum del 2 giugno 1946
Piante di Borgo Campidoglio nel 1900, 1914 (Cartina tranviaria dalla Guida del Touring Club Italiano 1914 ), 1935 (Cartina tranviaria di Torino – 1935), 1945 (Bombe e mezzi incendiari lanciati 1:5000, 1942-1945) ed oggi.
http://www.museoarteurbana.it/corso-tassoni-e-afferenze-come-cambiano-i-luoghi-e-i-nomi-delle-vie/
CORSO TASSONI
LaStampa 04/10/1945
Le delittuose imprese di tre giovani banditi (Corso Tassoni 20)
LaStampa 14/11/1945
Le gesta terroristiche delle auto fantasma e la segreta organizzazione neo-fascista
LaStampa 11/12/1945
Consacrazione di 46 missionari a Sant’Alfonso
LaStampa 28/12/1945
Manifestazione presso il Teatro dell’IRI A.S.
LaStampa 19/01/1946
Una energica portinaia contro tre rapinatori (Corso Tassoni 16)
SITOGRAFIA
http://www.mondotram.it/paolo-c/torino_cartine.htm
http://www.museotorino.it/view/s/00c52b3604534cb68ed7287190a8faca
http://www.lastampa.it/archivio-storico/index.jpp
http://marmox.to.it/paolo-amati/category/21-cartoline?start=50
http://www.museodeltram.it/vie/tassoni.htm
http://www.skyscrapercity.com/showthread.php?t=364547&page=550
http://www.skyscrapercity.com/showthread.php?t=364547&page=1011
Casa centrale del Balilla, Piazza Bernini
Nel 1926 viene creata l’Opera Nazionale Balilla, un’organizzazione parascolastica con la quale il fascismo intende penetrare all’interno del sistema scolastico italiano; l’ONB ha come scopo l’educazione culturale, religiosa e professionale dei giovani, senza dimenticare l’aspetto fisico, tant’è che proprio all’Opera spetta l’organizzazione dei corsi di educazione fisica nelle scuole, e tutti gli istituti sono obbligati ad aderire e mandare i propri allievi.
Per questi motivi, in tutta Italia sorgono numerose “case del balilla”. A Torino l’architetto Costantino Costantini progetta quella di piazza Bernini, costruita nel biennio 1929-1931, e contenente palestre, piscine, sale di scherma e campi da tennis. La casa del balilla è caratterizzata da una facciata concava con due avancorpi sporgenti e dalle finestrone ad arco. L’edificio segue l’andamento dell’isolato: la facciata curva è conforme alla piazza, le due maniche laterali si allungano sul filo di via Giacomo Medici e corso Tassoni; si inserisce nel contesto urbano senza prepotenza, forse a causa dell’uso di un rivestimento modesto come l’intonaco giallo.
I lavori per la costruzione della casa centrale del Balilla iniziano nel 1929 in un’area ceduta gratuitamente dal Comune; l’Opera Nazionale Balilla (ONB) affida il progetto e la direzione dei lavori al giovane ingegnere Costantino Costantini (1904-1982) su raccomandazione dell’ingegner Arturo Ferraris, che ricopre un ruolo di rilievo all’interno del partito fascista torinese. La volontà è quella di realizzare un edificio che ospiti la sede provinciale dell’ONB, in modo da rendere visibile alla città sia la presenza del regime sia la volontà del medesimo di formare i giovani alla disciplina sportiva, militare e politica. L’edificio si articola in un corpo centrale di due e tre piani fuori terra e un piano sotterraneo, con prospetto principale affacciato sull’esedra di piazza Bernini da cui si dipartono in modo simmetrico due ali divergenti lungo corso Tassoni e via Medici. All’interno, il piano terrweno ospita l’atrio d’onore con la “Statua del nuotatore”, opera dello scultore Gaetano Orsolini (1884-1954), l’ambulatorio, una palestra, una sala cinematografica, la sala ritrovo dei balilla e la sala istruttori. Dallo scalone a doppia rampa si accede al primo piano dove sono collocati uffici, aule, la biblioteca e i servizi. All’ultimo piano si trovano gli alloggi dei custodi e i dormitori. Un elemento di particolare interesse è la piscina realizzata nel sotterraneo, all’interno di una struttura portante in cemento armato indipendente dal resto dell’edificio.
Le scelte compositive e decorative adottate da Costantini rendono questo progetto un efficace esempio di mediazione tra la persistenza della tradizione, con richiami a elementi della classicità (le finestre ad arco sormontate da timpani), e le istanze razionaliste, accolte ancora con favore in questi primi anni del regime.
Sitografia
http://www.museotorino.it/view/s/829f02aead1d4ea38488c13de40fa4a0
https://it.wikipedia.org/wiki/Sport_e_fascismo
Fai clic per accedere a Gioventu_fascista._LOpera_nazionale_balilla.pdf
Borgo Campidoglio Fascista: le leggi razziali
Le leggi razziali furono emanate nel 1938: esattamente il 14 luglio con la pubblicazione del famoso “Manifesto del razzismo italiano” poi trasformato in decreto, il 15 novembre dello stesso anno, con tanto di firma di Vittorio Emanuele III di Savoia, Re d’Italia e imperatore d’Etiopia “per grazia di Dio e per volontà della nazione” .
Le leggi razziali fasciste sono un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi (leggi, ordinanze, circolari, ecc.) applicati in Italia fra il 1938 e il primo quinquennio degli anni quaranta, inizialmente dal regime fascista e poi dalla Repubblica Sociale Italiana.
Esse furono rivolte prevalentemente – ma non solo – contro le persone di religione ebraica. Furono lette per la prima volta il 18 settembre 1938 a Trieste da Benito Mussolini, dal balcone del Municipio in occasione della sua visita alla città. Furono abrogate con i regi decreti-legge nn. 25 e 26 del 20 gennaio 1944, emessi durante il Regno del Sud.
Per individuare quale parte della popolazione italiana che doveva essere assoggettata alla ormai imminente normativa persecutoria, nell’estate del 1938 venne effettuata un’accurata rilevazione degli ebrei italiani e stranieri residenti nel Regno d’Italia.
Gli ebrei «effettivi» erano suddivisi in 37.241 italiani e 9.415 stranieri e le comunità più popolose erano quelle di Roma (circa un quarto dell’intera popolazione ebraica), Milano, Trieste e Torino; tutti gli altri nuclei cittadini ebraici erano inferiori alle tremila persone.
Il ghetto ebraico torinese, il cui centro principale risale al 1679, è una porzione di città compresa nei quattro angoli delle vie Maria Vittoria, Bogino, Principe Amedeo e San Francesco da Paola. L’isolato è definito da due blocchi residenziali che si affacciano su un cortile interno, costellato di ballatoi che si snodano sui quattro lati. Esigenze di ampliamento imposte nel corso del ‘700, quando la Comunità torinese raggiunge 1.300 persone circa, determinano la costruzione del ghetto nuovo, di fronte a quello storico, tra le vie San Francesco da Paola, Des Ambrois e piazza Carlo Emanuele II. Qui si insediano all’incirca 300 persone. Molto più densi rispetto agli altri negli isolati contigui, gli edifici del ghetto si distinguono nelle loro facciate: a parità di altezza con le case limitrofe, sono sovrapposti 4 piani più un ammezzato; cancelli in ferro battuto chiudono gli accessi ai cortili, con serrature apribili soltanto dall’esterno. Al loro interno sono collocate tutte le principali attività necessarie alla comunità. Gli abitanti del ghetto sono perlopiù piccoli commercianti e artigiani, famiglie meno abbienti. Nel momento in cui le persecuzioni razziali fasciste stanno per iniziare, le mura del vecchio ghetto diventano per gli ebrei torinesi un forte centro simbolico al quale si accede attraverso un cancello, situato in via Maria Vittoria e visibile ancora oggi.
Nel 1938, come in parte ancora oggi, piazza Carlo Emanuele II è occupata dai banconi del mercato. Attorno alla piazza abitano nuclei famigliari appartenenti a ceti sociali più bassi rispetto ai correligionari che erano andati ad abitare in altri quartieri della città.
Il luogo, all’apparenza sicuro, lo diventa un po’ meno quando la caserma Bergia, con sede in piazza Carlina, diventa il comando della Guardia Repubblicana.
Dal 1938, con l’intensificarsi delle persecuzioni, la comunità si sposta in prossimità della Sinagoga, nel ghetto nuovo, nel quartiere San Salvario.
Secondo i dati forniti dall’Annuario Statistico del Comune di Torino (1938), nella Sez. IX (Vanchiglia) e Sez. X (Valentino) risiedevano rispettivamente 253 e 276 ebrei, poco meno della metà di una popolazione complessivamente censita in quell’anno per un insieme di 1414 individui.
La città delle leggi razziali è una città frazionata in diverse realtà: la città del benessere, di chi ormai abita sui lunghi viali e alla Crocetta (o nelle ville della collina) e la città dei piccoli commercianti, degli artigiani che dal vecchio epicentro di piazza Carlina non si erano mai allontanati, per carenza di mezzi economici, ma anche per fedeltà a se stessi e alla propria storia.
Fatalmente, dopo l’autunno del 1938, spinti dall’incalzare degli eventi le due città si protendono verso la zona adiacente alla Sinagoga, dove gli incontri per creare ex novo la scuola e discutere la serie incalzante di provvedimenti che riguardano i cittadini “di razza ebraica”, s’intensificano.
Novant’anni esatti dai decreti di emancipazione e dallo Statuto avevano distribuito gli ebrei torinesi in tutta la città, tuttavia le vie limitrofe a Piazza Carlina costituivano ancora per le famiglie meno abbienti il guscio da cui era doloroso allontanarsi. Qui sorgeva il vecchio ghetto, qui erano (e sono) visibili i cancelli in ferro battuto che lo delimitavano, qui perdurava il ricordo del cibo saporito e fedele alle norme rituali servito fino alla fine del secolo scorso dalla trattoria “Ghetto Vecchio”, gestita da un personaggio leggendario come Aron Bachi.
Dopo il 1938, il nuovo centro diventa il reticolo delle vie limitrofe alla via San Pio V: via Galliari, via Sant’Anselmo, via Goito, via Berthollet, via Bidone (con due non trascurabili appendici, agli estremi topografici e anagrafici: via Orto Botanico, 13 sede dell’orfanotrofio e piazza Santa Giulia, 12 sede dell’ospizio per gli anziani). L’effetto ultimo delle nuove interdizioni fasciste è dunque l’istituzione di un Ghetto Nuovo, intorno al quale gli edifici per i bambini e gli anziani ruotano come due satelliti.
Il quinquennio che separa l’inizio della legislazione razziale e l’avvio delle retate e degli arresti va studiato nelle diverse tappe ma è visibilmente segnato da un “prima” e da un “dopo”: il bombardamento del 21 novembre 1942, che rase praticamente al suolo la Sinagoga. Segnali allarmanti della tragedia incombente si erano avuti anche prima, con l’arrivo di profughi ebrei dalla Germania, ospitati negli stessi edifici di via Sant’Anselmo e con le sinistre avvisaglie di una campagna antisemita che, in città, aveva assunto toni preoccupanti soprattutto a partire dall’autunno 1941 (attentato al portone della Sinagoga, affissione di lugubri manifesti inneggianti all’odio antiebraico). Erano avvertimenti, prove generali del tentativo operato dal nazifascismo di fare di Torino una “città senza ebrei”.
Nulla tuttavia segnò la biografia di giovani e meno giovani come il vedere crollare in frantumi l’architettura vagamente esotizzante della grande Sinagoga, con le sue quattro cupole a tegole d’ardesia, squame di pesce e antenne d’oro. Le bombe che distrussero la Sinagoga sono il segnale che chiude sempre più ermeticamente ogni rapporto con il mondo esterno.
Gli ebrei torinesi erano vissuti tranquillamente sotto il fascismo, cittadini come gli altri, talora abbienti e non di rado iscritti al Partito, ma furono sufficienti poche ore per mutare definitivamente e drammaticamente tutto.
L’arrivo dei profughi ebrei dalla Germania fu motivo di preoccupazione, e a partire dall’autunno 1941 in città iniziò una sorta di campagna antisemita (attentato al portone della Sinagoga, affissione manifesti inneggianti all’odio antiebraico).
La deportazione a Torino ebbe inizio il 13 gennaio 1944, quando cinquanta deportati furono caricati su di un carro bestiame diretto a Mauthausen. A partire da quel giorno, da Porta Nuova partirono centinaia di deportati (uomini, donne, bambini), alla volta dei campi di transito o dei Lager nazisti. I condannati venivano radunati all’alba dentro il carcere delle Nuove e trasferiti in stazione alle prime luci del mattino.
Due storie del Borgo
La famiglia Lolli
Enzo Lolli, figlio di Camillo e Bice Jona e fratello di Corrado, Giuseppina e Ferruccio, nacque il 24 febbraio 1894 a Chiari (BS). Trasferitosi a Torino, si sposò con Emma Ester Treves da cui ebbe due figlie, Nedelia e Elda. Abitava con la famiglia in via Giacinto Collegno 45 a Torino.
Di formazione ingegnere idraulico, fu anche scrittore e filosofo (pubblicò il libro Il mondo come induzione neurica nel 1936). In seguito all’emanazione delle leggi razziali nell’autunno del 1938, la famiglia meditò di fuggire dall’abitazione, ma fu l’annuncio dell’entrata in guerra (10 giugno 1940), a spingerli a trovare rifugio nello sfollamento a Mezzenile, nelle Valli di Lanzo. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, Enzo decise di separare la famiglia nella speranza di salvare i suoi cari. La moglie e la figlia più grande vennero assunte come governanti e bambinaie, mentre Nedelia, di soli 13 anni, venne accolta a Salice d’Ulzio da amici di famiglia, Dalmiro e Verbena Costa, e successivamente dalle suore del Buon Pastore di Villa Angelica a Torino, dove già si nascondevano due sue cugine.
Enzo trovò rifugio nell’ufficio torinese dell’amico Dalmiro Costa, dove custodiva anche denaro e gioielli. Il 6 giugno 1944 fu arrestato da due fascisti o nazisti con suo fratello Corrado. Una volta arrestato, Corrado si era ingenuamente fidato della promessa di libertà dietro pagamento e portò i due carcerieri al nascondiglio del fratello Enzo, che fu a sua volta arrestato. Ambedue i fratelli Lolli furono portati alla Carceri Nuove di Torino e poi alle carceri di Milano. Dopo alcuni mesi, furono deportati ad Auschwitz su un treno partito il 2 agosto 1944 da Verona, insieme ad altri deportati di varia provenienza.
Il convoglio arrivò ad Auschwitz il 6 agosto: Corrado e suo fratello Enzo furono uccisi all’arrivo.
L’ultima residenza conosciuta era in Corso Tassoni 33.
Nedelia Tedeschi Lolli è una amabilissima bisnonna di due bisnipoti con il terzo in arrivo. È una poetessa (Non voltarti mai indietro, Lorenzo Editore, Torino 2008), una scrittrice (A domanda rispondo, 36 domande sull’ ebraismo e relative risposte, La Giuntina, Firenze 1996) maestra elementare per quarant’ anni, ha diretto un giornale per ragazzi e aiutato infermi psichici appena diplomata. Un’ esistenza ricca e intensa, resa ancora più speciale dal coraggio di chi l’ ha salvatae protetta, pura rischio della propria vita. Nedelia aveva appena nove anni quando nel 1938 il governo fascista promulgò le prime leggi razziali per escludere gli italiani ebrei dalla vita pubblica, a partire dalla scuola: «Era settembre e io mi preparavo ad andare in quarta, quando la maestra e il direttore diedero la brutta notizia alla mia famiglia. Grazie ai miei genitori, non fu un vero trauma. Mi hanno sempre protetta, addolcendo quel mondo che per noi sarebbe diventato crudele». Conosciamo la storia e sappiamo che la vita di Nedelia non sarebbe più stata la stessa, i divieti per gli ebrei aumentarono e la famiglia meditò la fuga: «Due miei zii erano già scappati in Colombia. Decidemmo di raggiungerli e la casa si riempì di bauli camuffati da arredo: non fu facile chiuderci le nostre vite dentro, accettare l’ idea di abbandonare tutto per chissà quanto tempo. La partenza era prevista il 21 giugno 1940, ma le cose andarono diversamente». Il 10 giugno 1940, dal balcone di Piazza Venezia a Roma, Mussolini tuonò il suo annuncio. Era la guerra. Quando iniziano i bombardamenti, la famiglia Lolli si rifugiò a Mezzenile, piccolo centro nelle Valli di Lanzo: «Potrà sembrare incredibile ma ricordo quel periodo con piacere. Non eravamo gli unici a dover abbandonare la città, la guerra c’ era per tutti. E poi la vita in campagna mi piaceva, ho imparato a coltivare l’ orto e portavo avanti i miei studi a casa. Mio padre Enzo andava e veniva da Torino, era sempre affettuoso e attento. Ricordo ancora il libro di fantascienza che mi regalò: conosceva bene le mie passioni. E il cagnolino che mi portò per darmi ancora una parvenza di normalità. Fu un periodo sereno, l’ ultimo in cui fummo tutti uniti». La firma dell’ armistizio a Cassibile (comunemente citato come “8 settembre”) scatena la rappresaglia nazista: il Centro Nord vive l’ occupazione, la guerra civile e anche in Italia ha inizio il rastrellamento, la deportazione e lo sterminio degli ebrei. «Mio padre decise di separarci: una famiglia intera avrebbe dato nell’ occhio. Così, rispondendo a un annuncio, mia madre Emma e mia sorella Elda furono assunte come governante e bambinaia. Erano le uniche professioni in cui non si dovevano mostrare i documenti e bastavano le referenze. In quel modo si risolveva anche il problema del cibo: alle famiglie in cui prestarono servizio non mancava niente. Tranne forse la consapevolezza di avere assunto due donne ebree». A tredici anni Nedelia era troppo giovane per lavorare, ma un amico di suo padre si offrì senza esitazione ad accoglierla nella sua casa di Sauze d’ Oulx «o Salice d’ Ulzio, come si chiamava allora in “puro italiano”». Nedelia fu ospite durante l’ inverno 1943-44 di Dalmiro e Verbena Costa: «Per non destare sospetti dissero in giro che mi avevano assunta per insegnare le buone maniere e accompagnare a sciare i figli Marcello di 3 anni e Giorgio di 7. Fui accolta con grande affetto e soprattutto coraggio: chi nascondeva ebrei rischiava la vita». I Costa non si tirarono indietro nemmeno quando il figlio maggiore di Dalmiro (avuto da una relazione precedente) si unì ai partigiani: «Però mio padre non volle che corressero ulteriori rischi e mi portò via». Nadelia fu così accolta dalle suore del Buon Pastore di Villa Angelica, un istituto per ragazze nella collina torinese, chiamato a quei tempi “di correzione”, dove già si nascondevano due sue cugine. «Anche noi dovevamo rispettare le regole dell’ istituto: mangiavamo tutte insieme in un vasto salone, ricordo ancora la polentina morbidissima della colazione e un riso troppo cresciuto servito a pranzo. Si lavorava tutto il giorno, cucito e ricamo per le “signore bene” che preparavano il corredo alle figlie. Devo molto a queste suore che con semplicità e senza nessun tipo di pressione mi hanno fatto vivere in serenità la fine della guerra fino alla Liberazione. Devo ringraziare loro e la famiglia Costa che mi hanno salvata dalla tragedia vissuta da tanti miei corregionali». Purtroppo però il papà di Nedelia non ha la stessa sorte: «Veniva a trovarmi tutte le settimane “il giorno del ricevimento”. Ma un giorno mancò l’ appuntamento, e così le settimane successive. Non avevo modo di sapere cosa fosse successo. Finché vidi arrivare mia sorella che mi disse che “l’ avevano preso”. Mi servì molto tempo per capire di cosa stesse parlando». Finita la guerra Nedelia torna a vivere con la mamma e la sorella nella loro casa di via Giacinto Collegno 45. Di cosa fosse accaduto ai deportati non si sapeva niente, finché non iniziaronoa tornare: «Arrivavanoa Porta Nuova. Mamma ci andava ogni giorno con la fotografia di papà e con la speranza di trovare qualcuno che l’ avesse conosciuto. Finché il suo volto fu riconosciuto e sapemmo della sua deportazione ad Auschwitz, dove morì nelle camere a gas il giorno stesso del suo arrivo». Enzo Lolli fu catturato da due fascisti. Ne scoprirono il nascondiglio per un’ ingenuità del fratello che credette alla loro promessa di libertà dietro il pagamento di un riscatto. Lui non aveva soldi con sé, ma sapeva che ce ne sarebbero stati nel nascondiglio di Enzo. Non fu facile ricostruire i fatti. Subito dopo la guerra nessuno voleva sentire parlare dell’ orrore appena vissuto: «La città si riempì di sale da ballo, ci si voleva solo divertire. I sopravvissuti non venivano credutie smisero di parlare. Come si poteva accettare quella disperazione?». Ci vollero anni prima che iniziasse l’ elaborazione: «Ora è il tempo di ricordare chi ci ha protetti,i Giusti tra Nazioni: tutti gli eroi che hanno rischiato la propria vita per salvare la nostra». Il Giorno della Memoria è dedicato anche a loro, alle loro famiglie: «Oltre il ricordo della Shoah non dobbiamo però smettere di condannare il razzismo, verso qualsiasi razza o minoranza, non solo verso gli ebrei. È l’ idea stessa di discriminazione che deve scomparire». Sono numerose le iniziativea Torino e in tutto il Piemonte per celebrare il Giorno della Memoria. Il programma completo è disponibile su http://www.comune.torino.it, http://www.torinoebraica.it
in foto: Nedelia Tedeschi a Sauze D’oulx con i fratelli Costa
La famiglia Avigdor
La Avigdor è stata fondata nel 1833, da una famiglia di ebrei imprenditori del tessile, è stata fornitrice ufficiale degli arredi dei palazzi e delle regge di Casa Savoia. E’ l’ azienda di tessuti per arredamento più antica d’ Italia.
AVIGDOR MIRANDA nata a Torino il 12.06.1914, figlia di Federico e Calabi Pia. Ultima residenza nota: Torino. Arrestata a Torino nel mese di giugno 1944 da tedeschi. Detenuta a Torino carcere, Milano carcere. Deportata da Verona il 02.08.1944 ad Auschwitz. Liberata ad Auschwitz il 27.01.1945. Convoglio 33T.
Federico Avigdor, figlio di Tranquillo Avigdor e Consolina Todros è nato in Italia a Torino il 6 marzo 1875. Coniugato con Pia Calabi. Arrestato a Torino (Torino). Deportato nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuto alla Shoah.
Il 15 luglio del 1944 nella casa di Corso Francia c’è il padre Federico, uno dei fratelli Avigdor della nota ditta di tappeti, e la madre Pia: sono appena tornati dalle Nuove dove i Fascisti li hanno rinchiusi per un mese. Le S.S. entrano con le armi spianate, li prendono e li traducono in carri bestiame ad Auschwitz , dove Miranda farà da cavia agli esperimenti di Menghele, mentre i genitori finiscono all’arrivo nella camera a gas. Non ha ancora 30 anni.
Il 13 dicembre 1967 abita al quinto piano di Corso Rivoli 199. Rifiuta di andare a vivere con la sorella in Via Locana 10, non vuole vedere nessuno, da anni è in cura presso una clinica; ha 53 anni, è sola, potrebbe anche uccidersi, informano i medici della Clinica “Salute” di Trofarello, alterna momenti di lucidità a lunghi discorsi allucinati quando interviene la Croce Verde e i Vigili del Fuoco. Non può vederli, odia le divise: rivive quel 15 luglio del 1944. Ritorna in clinica, ma nulla potrà più guarirla.
Sitografia
Fai clic per accedere a 429_LE%20LEGGI%20RAZZIALI.pdf
http://anpi-lissone.over-blog.com/article-12146627.html
https://it.wikipedia.org/wiki/Leggi_razziali_fasciste
http://www.morasha.it/tesi/clmb/clmb02.html
http://www.museotorino.it/view/s/9eca6dbc69214bf98ee0056ea6d7da38
http://www.istoreto.it/torino38-45/razziali.htm
http://www.jstor.org/stable/41284151?seq=1#fndtn-page_scan_tab_contents
http://www.museotorino.it/view/s/d347f6b6a8b14fef97285866d452c016
http://pietre.museodiffusotorino.it/
Fai clic per accedere a to_pietre.pdf
http://www.nomidellashoah.it/1scheda.asp?nome=Corrado&cognome=Lolli&id=4866#
http://www.nomidellashoah.it/1scheda.asp?nome=Enzo&cognome=Lolli&id=4867#
http://www.liceoberti.gov.it/attivita/2-non-categorizzato/376-pietre-d-inciampo.html
https://pdchiari.wordpress.com/2015/01/27/enzo-lolli-da-chiari-ad-auschwitz-giornodellamemoria/
http://www.elisabettachiccovitzizzai.it/recensione013.php
http://www.cherasco1796.org/radici_ebraiche.asp
Fai clic per accedere a 26.compressed.pdf
Fai clic per accedere a ID169I.pdf
http://www.archivioterracini.it/archivio/subj_dett.php?pk=620
Fai clic per accedere a italiani_insieme_agli_altri.pdf
Teresa Noce in Longo, detta Estella
Teresa Noce in Longo
nome di battaglia “Estella”
Nata a Torino il 29 luglio 1900 seconda dei due figli di Pietro e di Rosa Biletta, deceduta a Bologna il 22 gennaio 1980, organizzatrice politica e sindacale. ll fratello muore giovanissimo durante la prima guerra mondiale.
Marito Luigi Longo (sposato dopo la nascita del primo figlio quando lui ebbe 25 anni di età e non aveva più bisogno del consenso dei genitori), dal quale ha avuto tre figli. Primo figlio Luigi Libero (detto Gino); secondo figlio Pier Giuseppe morto dopo pochi mesi per un attacco di meningite; terzogenito Giuseppe.
Andrei Longo (ricercatore, nipote di Teresa Noce)
“Brutta, povera e comunista” secondo la suocera, fu ripetutamente cornificata dal marito. Lui annullò il matrimonio all’insaputa di lei a San Marino nel 1953.
Nasce e cresce nel quartiere operaio delle “Ca’ neire” o le “ca di lader”: in Basso San Donato sono un «quartiere fantasma» di case coperte dalla fuliggine delle ciminiere, dei treni, delle stufe, delle caldaie, che bruciavano carbone; numerose fabbriche di colla, concerie, con i loro miasmi, rendevano le “ ca’ neire”. In Via Don Bosco non lontano da Valdocco prende casa Giuseppe Rapelli nel quartiere “nel 1919 noto anche come zona di sovversivi, tant’è che quando c’era il corteo del primo maggio loro ci andavano con una bandiera rossa con sopra scritto “Repubblica delle Ca’ Neire”. Il Circolo Socialista locale, il Circolo I Maggio, era uno dei più importanti della Federazione Socialista Torinese. Poverissima inizia a lavorare a soli sei anni. Intelligente e intraprendente, inizia la scuola con tre mesi di ritardo a causa della scabbia, ma recupera in fretta quello che le sue compagne hanno appreso, compitando ogni pezzo di carta stampata che le capita sottomano. “Le Ca’ Neire” però sono anche il Borgo di San Salvario, con le case annerite dai treni di Porta Nuova.
Ave Maria… da le ciaborne veje
ch’ a saro le Ca neire e ‘l Borgh d’ jë strass,
dai bei palass ch’ a guardo anvers le leje,
da ‘n Valdoch, dal Seralio e dai Molass;
dal Borgh ëd Po fin-a a le Basse ‘d Dòra,
da la Crosëtta al parch del Valentin,
j’è tut Turin ch’ at prega e ch’ at’ adòra
j’è tut Turin ch’ at conta ‘j sò sagrin…
O Protetris dla nòstra antica rassa
cudisme Ti, fin che la mòrt an pija:
come l’acqua d’un fium la vita a passa,
ma ti, Madonna, it reste… Ave Maria.
(Nino Costa)
Nel 1926, Teresa Noce – che nel 1923 (redattrice de La voce della gioventù), ha già subito un arresto a Milano – espatria col marito. Prima a Mosca, poi a Parigi. Per anni è un andirivieni di Teresa tra le due città, con frequenti puntate clandestine in Italia, per organizzarvi la lotta antifascista. Nel 1936 – dopo aver fondato a Parigi, con Xenia Sereni, il mensile Noi Donne – ecco che la Noce è, con Longo, in Spagna. Col nome di battaglia di “Estella” cura la pubblicazione de Il volontario della libertà, il giornale degli italiani accorsi a combattere, nelle Brigate internazionali, in difesa della legittima Repubblica spagnola. Rientrata in Francia, Teresa Noce pubblica a Parigi (è il 1938) l’autobiografico Gioventù senza sole. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, Teresa è internata nel campo di Rieucros. Quando, per intervento dei sovietici, è liberata e dovrebbe ricongiungersi ai figli, a Mosca, per il cambiamento delle alleanze militari non può farlo. Resta così a Marsiglia, dove, per conto del Partito comunista francese, dirige il MOI (l’organizzazione degli operai immigrati) e s’impegna nella lotta armata condotta contro i tedeschi e i collaborazionisti dai “Francs-tireurs-et-partisans”. Durante una missione a Parigi, all’inizio del 1943, l’antifascista italiana è arrestata. Mesi di carcere, ma i nazisti non scoprono chi sia veramente la donna caduta nelle loro mani. Così la Noce è deportata, prima nel lager di Ravensbrück, poi in Cecoslovacchia dove, a Holleischen, le toccano i lavori forzati in una fabbrica di munizioni.
Tornerà in Italia soltanto dopo che l’Armata rossa avrà liberato il campo e il 2 giugno 1946 sarà tra le 21 donne italiane dell’Assemblea costituente.
Sitografia
https://www.youtube.com/watch?v=K6n0cpjvtqo
http://iptv.cgil.lombardia.it/web/CanaleTematico.aspx?ch=62&fl=5546
https://it.wikipedia.org/wiki/Teresa_Noce
http://www.treccani.it/enciclopedia/teresa-noce_%28Dizionario_Biografico%29/
http://www.storiaxxisecolo.it/antifascismo/biografie%20antifascisti125.html
http://www.museotorino.it/view/s/ede1dcce876c46c0818790ede2734d5b
https://books.google.it/books?id=rg4tBs-9ygkC&pg=PA6&lpg=PA6&dq=torino+ca+neire&source=bl&ots=ZPOJjNAqSq&sig=EocWSA_xyRmleEtID8oNI6SMx2I&hl=it&sa=X&ved=0CC0Q6AEwAmoVChMIoOvqx_yayAIVQ-kUCh1g6wQV#v=onepage&q=torino%20ca%20neire&f=false
http://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=35233&lang=it
http://archivio.teatrostabiletorino.it/archivi/media/collectiveaccess/images/3/4/1/8322_ca_object_representations_media_34101_original.pdf
http://caratteriliberi.eu/2014/03/08/in-evidenza/estella-brutta-povera-e-comunista/
http://www.marx21.it/component/content/article/42-articoli-archivio/3397-nome-di-battaglia-estella-rivoluzionaria-professionale.html
http://frammentivocalimo.blogspot.it/2014/03/teresa-noce-l8-marzo-al-campo-della.html
http://www.ilgiornale.it/news/cultura/quel-gallo-rosso-re-pollaio-pieno-compagne-1014072.html
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2003/09/12/longo-divorzio-san-marino.html
https://www.facebook.com/TeresaNoceRivoluzionariaDiProfessione
http://canavesenews.it/news/montanaro-lasilo-nido-teresa-noce-rischia-di-chiudere-di-battenti/
http://www.storia900bivc.it/pagine/editoria/bermani189.html
http://www.instoria.it/home/diritti_donne_italia_XX_secolo.htm
http://roma.repubblica.it/cronaca/2015/07/22/news/donne-119606574/
Torino 1946: Juventus Football Club
I campionati di serie A: Napoli-Juventus
- Serie A 1943/1944: CAMPIONATO NON DISPUTATO PER LA SECONDA GUERRA MONDIALE.
- Serie A 1944/1945: CAMPIONATO NON DISPUTATO PER LA SECONDA GUERRA MONDIALE.
- Divisione Nazionale 1945/1946: 9/6/1946 Juventus-Napoli 6-0 – 28/7/1946 Napoli-Juventus 1-1. A causa della ricostruzione postbellica il campionato tornò ad essere diviso in due gironi. Sia Juventus che Napoli si qualificarono nei rispettivi gironi. I risultati si riferiscono appunto al girone finale.
- Serie A 1946/1947: 27/10/1946 Juventus-Napoli 1-0 – 23/3/1947 Napoli-Juventus 3-3. Si torna al girone unico.
Stagione 1945-46
La società torinese cambiò denominazione e assunse il nome di Juventus Football Club, rinforzandosi con l’ingaggio del prolifico bomber Silvio Piola, strappato ai concittadini del Torino e desideroso di stabilirsi definitivamente in Piemonte; di proprietà della Lazio, il cartellino dell’attaccante venne acquistato dai bianconeri per circa tre milioni di lire.
In campo, la squadra prese parte al complesso campionato di Divisione Nazionale, il primo torneo regolare di massima serie organizzato dal termine del secondo conflitto mondiale. A causa della disastrata situazione in cui versava l’Italia – coi combattimenti lungo la Linea Gotica che avevano, di fatto, spezzato in due la penisola – la Federcalcio decise per l’abbandono momentaneo del girone unico in favore di due distinti campionati, la Serie A Alta Italia al Nord e la Serie Mista A-B al Centro–Sud.
La Juventus confluì nel torneo settentrionale organizzato dalla reggente Lega Alta Italia, debuttando 14 ottobre 1945 con un successo 2-1 nel derby torinese, ove Piola trovò subito la prima marcatura in maglia bianconera. A metà aprile la formazione piemontese concluse la prima fase di quel campionato al terzo posto, a otto lunghezze dai concittadini granata, entrando nel novero delle quattro squadre che, assieme alle prime quattro classificate dell’altro torneo misto centro-meridionale, vennero ammesse al girone finale atto a decretato i primi campioni d’Italia del dopoguerra.
La lotta sportiva fu nuovamente col Torino cui stavolta la Juventus diede filo da torcere sino all’ultima giornata quando, giunti agli sgoccioli di luglio e con le due torinesi appaiate in vetta a pari punti, i bianconeri furono fermati sul pari al Vomero dal Napoli lasciando così via libera per lo scudetto ai granata, vittoriosi in goleada al Filadelfia sulla Pro Livorno.
La classifica finale 1945-46
La Juventus nel campionato di Serie A 1946-1947 si classifica al secondo posto dietro al Torino.
Rava (in piedi, terzo da destra) capitano della Juventus nel 1947.
Juventus-Bologna 1946
Juventus-Inter 1946
Le partite con la Sampdoria/Sampierdarenese nel 1946: un reportage fotografico
1946, Sampierdarenese 2 – Juventus 2
1946, Juventus 6 – Sampierdarenese 0
Il Calcio Illustrato e il Corriere dello Sport 1946
Lo Stadio Mussolini, poi Comunale
In principio si chiamava Stadio Benito Mussolini, ed era stato voluto dal Duce in persona per i Giochi Littoriali del 1933: costruito a tempo di record, era un complesso che annoverava oltre al catino il complesso di piscine coperte e la torre Maratona.
La prima squadra a metterci piede fu la Juventus nel 1933.
Il 29 giugno del 1933 venne giocata la prima partita, il ritorno dei quarti di finale di Coppa Europa Centrale, una manifestazione a cui partecipavano club italiani, austriaci, cecoslovacchi e ungheresi. In campo scesero la Juventus e il Ujpest, con la vittoria del club bianconero per 6-2.
Allo stadio Comunale, la Juventus ha giocato, dal 1933 al 1990, un totale di 890 partite di campionato e ha conquistato 17 scudetti.
Nell’anteguerra il Benito Mussolini ospitò anche alcune fasi della Coppa del Mondo di calcio del 1934, vinta dalla Nazionale di Vittorio Pozzo.
Dopo la guerra, l’impianto cambiò nome: ufficialmente era diventato il “Vittorio Pozzo”, ma tutti iniziarono a chiamarlo semplicemente “il Comunale”.
La coppa del mondo
La seconda guerra mondiale impedì la disputa di due coppe del mondo; quella del 1942 e del 1946 quando il conflitto era già terminato ma il mondo era un cumulo di macerie e si aveva ben altro da pensare che organizzare una manifestazione sportiva. Si ritornò a giocare solo nel 1950 cioè dopo 12 anni; e dopo due edizioni consecutive in Europa era obbligatorio tornare in America del Sud e come paese ospitante venne scelto il Brasile.
Sitografia:
https://it.wikipedia.org/wiki/Juventus_Football_Club_1945-1946
https://it.wikipedia.org/wiki/Juventus_Football_Club_1946-1947
http://www.juworld.net/partita.asp?d=21/07/1946
https://it.wikipedia.org/wiki/Pietro_Rava
http://www.ilpost.it/2014/07/16/tutti-allenatori-juventus/allenatori-juventus-10/
http://www.batsweb.org/Sport/Calcio/Campionato/form1946.htm
http://www.calcio.com/squadre/juventus/1946/2/
http://www.museosampdoria.com/portfolio?page=207
http://calciofilimodenesi.blogspot.it/2013/12/22-dicembre-1946-modena-juventus-1-0.html
http://www.footballcollection.com.br/paises/italia/juventus/4647.htm
http://www.italia1910.com/serie-a-risultati-e-classifica.asp?idstagione=50&team=8
http://www.storiedicalcio.altervista.org/juventus_umberto_agnelli.html
http://www.mole24.it/2011/10/05/i-4-stadi-di-torino/
http://www.museotorino.it/view/s/2badeca1a9b94095ae00602cfb39bf29
http://www.juventus.com/it/stadium-e-museum/stadi-precedenti/
lo Stadium, lo stadio più grande d’Europa
Finita la manifestazione, però, questa grande struttura, iniziò il proprio declino: era troppo grande per ospitare le competizioni sportive e richiedeva enormi spese di manutenzione. Per qualche tempo ospitò i grandi raduni e nel 1928 fu teatro di un magnifico carosello, per celebrare la dinastia sabauda. Di lì a poco, il regime fascista avrebbe iniziato la costruzione dello Stadio Olimpico, inaugurato nel 1933, con i giochi Littoriali, e battezzato allora Stadio Mussolini. Era a poca distanza, anch’esso costruito in una zona nuova, a fare da cerniera tra le città esistente e quella in fieri. Nel 1934 ospitò alcune gare del Mondiale di Calcio: era lo Stadio più grande d’Italia. Così, per qualche tempo, Torino ebbe nel proprio territorio i due stadi più grandi d’Italia. Nel 1936 si decise l’abbattimento dell’ormai inutile Stadium.
Rimangono alcune immagini nelle cartoline e fotografie d’epoca, che hanno immortalato la sua inaugurazione e la grande festa per i Savoia.
Sitografia:
http://rottasutorino.blogspot.it/2014/07/quando-torino-cera-lo-stadium-lo-stadio.html
Torino 1946: il Torino Calcio
Con il nome di Grande Torino si indica la società calcistica italiana del Torino Football Club nel periodo storico compreso negli anni quaranta del XX secolo, pluricampione d’Italia i cui giocatori erano la colonna portante della Nazionale italiana, nonchè una delle formazioni più forti del mondo, e che ebbe tragico epilogo il 4 maggio 1949, in quella sciagura aerea nota come Tragedia di Superga nella quale l’intera squadra perse la vita.
Con questo nome, benché si identifichi comunemente la squadra che perì nella sciagura, si usa definire l’intero ciclo sportivo, durato otto anni, che ha portato alla conquista di cinque scudetti consecutivi, eguagliando così il primato precedentemente stabilito dalla Juventus del Quinquennio d’oro, e di una Coppa Italia.
1945: Dopo la Guerra, torna anche il calcio
La formazione dei granata 1945-46
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale l’Italia si ritrovò in macerie e spezzata in due. Gli accaniti combattimenti lungo la Linea Gotica dell’inverno 1945 avevano gravemente compromesso, se non distrutto, le linee di comunicazione sull’Appennino, rendendo assai difficoltosi gli spostamenti fra la Pianura Padana e la penisola.
In queste condizioni, la Federazione decise di far ripartire il campionato di calcio con una formula una tantum. Per la prima volta dal 1929, il torneo non fu disputato a girone unico.
Nel Nord del paese fu organizzato un Campionato dell’Alta Italia che si poneva in continuità con quello prebellico di Serie A, essendovi ammesse tutte le società che avrebbero avuto titolo a partecipare alla massima serie della soppressa stagione 1943-1944. Nel Meridione la situazione era ancora più complessa, non essendoci ivi sufficienti società aventi titolo alla massima serie. La soluzione fu trovata organizzando un Torneo Misto fra le squadre di Serie A e quelle di Serie B.
Solo alla conclusione dei due raggruppamenti le prime quattro classificate di ogni campionato si sarebbero qualificate al girone finale che avrebbe determinato la vincitrice dello scudetto, con una formula che ricordava non poco quella dei campionati precedenti il 1926, con l’unica differenza che in quegli antichi tornei si qualificavano alla finalissima nazionale solo due squadre. Per questo complesso meccanismo il campionato 1945-1946, pur comparendo regolarmente negli albi d’oro, non è assimilato a quelli di Serie A e non compare nelle relative statistiche.
Il campionato dei granata con lo scudetto sulle maglie. Ferruccio Novo ha dato alla squadra l’assetto definitivo con l’arrivo del portiere Valerio Bacigalupo dal Savona, del terzino Aldo Ballarin dalla Triestina dalla quale era già stato “pescato” Giuseppe Grezar, il rientro dall’Alessandria di Virgilio Maroso, del centromediano Mario Rigamonti dal Brescia, del laterale Eusebio Castigliano, vercellese come Pietro Ferraris, dallo Spezia.
Praticamente difesa rivoluzionata e attacco identico al passato, per questa squadra che Novo affida al torinese purosangue Luigi Ferrero, valida ala sinistra granata dell’immediato anteguerra, che come allenatore si era ben comportato a Bari.
Alla prima giornata c’è subito il derby e subito la prima sconfitta: decide Silvio Piola – passato ai bianconeri dopo la parentesi granata del 1944 – con un rigore. Nelle due giornate successive il Torino realizza undici gol senza subirne nessuno contro Genoa e Sampierdarenese, iniziando una travolgente marcia nel suo girone, che lo porterà a battere tutti i record. I granata battono la Juventus nel derby di ritorno, in calendario a gennaio ma recuperato a metà marzo, con una rete di Eusebio Castigliano. Il girone si chiude con tre punti di vantaggio sull’Inter, seguito da Juventus e Milan. Nel girone finale accedono anche, dal Sud, Napoli, Bari, Roma e Pro Livorno.
Il quarto d’ora granata
Il famoso quarto d’ora granata era un momento particolare della partita, dedicato al pubblico dello Stadio Filadelfia, dove il Torino giocava le partite casalinghe. Sugli spalti la gente aspettava quei quindici minuti e i giocatori si divertivano a farlo attendere. Quando la squadra avversaria non era temibile, i calciatori del Torino erano soliti giocare volutamente al di sotto delle loro potenzialità, finché partivano tre squilli di tromba dalla tribuna di legno dove era presente tale Oreste Bolmida, un tifoso particolare di professione ferroviere. Da quell’istante partiva il quarto d’ora granata: Valentino Mazzola si rimboccava le maniche, dando il segnale del cambiamento, e la squadra aumentava il ritmo.
Il tutto ebbe inizio nella primavera 1946, allorché si ebbero diverse partite sfociate in goleade realizzate in quindici minuti, la più incredibile lo 0-7 allo Stadio Nazionale contro la Roma il 28 aprile 1946. Una volta messo al sicuro il risultato, il Torino addormentava la partita, limitandosi al controllo della stessa, praticamente facendo il minimo necessario in un quarto d’ora.
A volte la tromba veniva suonata anche quando il Torino era in difficoltà, oppure quando era sotto, come successe il 30 maggio 1948 quando perdeva 0-3 in casa contro la Lazio e il risultato fu ribaltato per il definitivo 4-3.
L’inizio è travolgente: il Torino gioca a Roma, e realizza sei gol in mezz’ora, uno ogni cinque minuti; nel secondo segna un altro gol. Fra le altre partite finite in goleada c’è il 7-1 al Napoli e il 9-1 dell’ultima giornata con la Pro Livorno. La Juventus batte il Torino all’andata (ancora un rigore di Silvio Piola) e alla penultima giornata guida con due punti di vantaggio. Nel derby di ritorno il Torino, con un gol di Guglielmo Gabetto, aggancia i bianconeri in testa alla classifica.
All’ultima giornata, come già scritto, i granata rifilano al Filadelfia nove reti al Pro Livorno, mentre la Juve a Napoli non riesce ad andare oltre l’1-1. È scudetto per il Torino, il terzo della sua storia, il secondo trionfo dello squadrone di Ferruccio Novo.
Campionato 1946-1947
La formazione dei granata 1946-47
Le ferite della guerra si stanno rimarginando e il calcio torna al girone unico. II campionato, per la difficoltà immediata di mettere in fila le sedici migliori, si disputa con un gigantesco torneo a venti squadre, quindi 38 giornate che occupano l’attenzione dei tifosi da settembre al luglio successivo. II Torino non ha apportato modifiche sostanziali al suo telaio, ma ha rafforzato il parco giocatori. La Serie A 1946–1947 fu il massimo livello della quarantacinquesima edizione del campionato italiano di calcio, la quindicesima disputata con la formula del girone unico.
Il campionato iniziò il 22 settembre 1946; il favorito Torino impiegò alcune settimane ad ingranare, e pareggiò le prime tre partite casalinghe con Triestina, Sampdoria e Juventus. Peraltro fu proprio la situazione dei giuliani a sconvolgere l’equilibrio del torneo; per ragioni di sicurezza, gli Alleati che governavano Trieste vietarono per lungo tempo l’utilizzo dello stadio di Valmaura, e ciò costrinse la squadra a disputare la maggior parte del girone d’andata in trasferta o sul campo neutro di Udine[7].
Dopo dieci giornate si ritrovarono appaiate al primo posto Juventus e Bologna, poi gli emiliani si bloccarono, persero tre gare di fila e videro i bianconeri allungare: il 2 febbraio 1947 furono “campioni d’inverno” davanti al Torino e al sorprendente Modena che, come il Livorno di qualche anno prima, era riuscito nell’impresa di ottenere ottimi risultati con giocatori provenienti dalle serie minori schierati dall’allenatore Mazzoni secondo la logica del vecchio Metodo[8]. Sul fondo, languiva la Triestina, mentre l’Alessandria del ritrovato Rava riscattava una partenza negativa ed inguaiava la più quotata Inter, i cui nuovi acquisti fallirono clamorosamente[5].
Fu proprio l’Alessandria a frenare la corsa della Juventus, il 23 febbraio; il Torino scattò in testa, vinse quattro gare consecutive, incluso il derby del 16 marzo, ed allungò, inseguita a distanza dal regolare Modena e dal Milan dell’astro nascente Carapellese[1]. Nel mese di maggio il Torino consolidò il primato e lo scudetto diventò matematico già a tre giornate dalla fine, con il pareggio di Bari; alla fine, i punti di vantaggio su Juventus e Modena, che occuparono le piazze d’onore furono rispettivamente 10 e 12. Fu la stagione in cui il Torino mostrò tutta la prepotenza di un attacco decisamente concreto, che sfondò il muro delle 100 reti realizzate grazie ad un gioco estremamente rapido, ideale per disorientare gli avversari[4]; il commissario tecnico dell’Italia Pozzo arrivò a schierare contemporaneamente tutti i dieci giocatori di movimento granata nell’amichevole dell’11 maggio 1947 contro l’Ungheria[4][9].
Se furono degni di nota i campionati di Vicenza e Bari, l’Inter riuscì ad emergere dalle ultime posizioni alla distanza, lasciando le altre squadre a lottare per una salvezza incerta fino all’ultimo secondo; la Fiorentina ebbe la meglio sul Brescia e sul Venezia, ormai distante dalle glorie di pochi anni prima. La caduta in B fu risparmiata alla derelitta Triestina, ripescata d’ufficio in luglio per motivi patriottici[7], «in considerazione del valore morale e simbolico che la squadra di Trieste ha per tutti gli sportivi italiani»[10]. Il ripescaggio della squadra giuliana portò dunque ad un ulteriore allargamento della Serie A, che fu formata da 21 squadre per il solo campionato 1947-1948.
Lo Stadio Filadelfia
Lo stadio venne creato dal conte Enrico Marone di Cinzano, a quei tempi presidente granata. Enrico Marone creò la Società Civile Campo Torino, con quote versate a fondo perduto, e con il solo obiettivo di acquistare l’area e costruirvi uno stadio con annesso campo di allenamento. Il 24 marzo 1926 viene fatta richiesta di concessione edilizia presso il comune e, dopo l’accettazione, i lavori vengono affidati all’ingegnere Miro Gamba, docente del Politecnico di Torino; i lavori di costruzione vennero seguiti dal commendator Riccardo Filippa. Il terreno su cui sorse era, in quel periodo, in periferia, e venne scelto per il basso costo dell’area.
I lavori occuparono 5 mesi di lavoro, e poco meno di due milioni e mezzo di lire. L’inaugurazione dell’impianto avvenne il 17 ottobre 1926 e, per l’occasione, si svolse una partita amichevole tra il Torino e la Fortitudo Roma, alla presenza del principe ereditario Umberto II, della principessa Maria Adelaide e di un pubblico di 15.000 spettatori. Il campo venne benedetto prima dell’incontro dall’arcivescovo di Torino, Monsignor Gamba. La partita finì con la vittoria del Torino per 4-0.
Il 13 luglio 1943, nel mezzo della seconda guerra mondiale, venne bombardato anche il Filadelfia.Tra le parti danneggiate si trova il campo (utilizzato dagli alleati per giocare a baseball) oltre alle gradinate di via Giordano Bruno.
Nonostante la copertura della tribuna fosse intatta, le travi metalliche vengono asportate per rifornire probabilmente l’industria bellica, e sostituite con altre in legno.
Lo Stadio Filadelfia fu colpito durante il bombardamento diurno del 29 marzo 1944 effettuato da aerei dell’USAAF con la tecnica del tappeto di bombe (centinaia di bombe dirompenti di medio calibro). Il bombardamento fece crollare il primo piano dello stadio.
Nell’ottobre 1945 l’Associazione calcio Torino chiede al Comune di poter utilizzare il campo di calcio dello stadio civico (in concessione alla squadra Juventus) in quanto lo Stadio Filadelfia risulta danneggiato. La concessione dello stadio viene accordata per il campionato 1945-1946 mentre gli allenamenti della squadra potranno tenersi al motovelodromo torinese in Corso Casale.
Dopo la guerra i lavori di ristrutturazione vennero eseguiti dal nuovo presidente Ferruccio Novo.
Guido Vandone
Savona. E’ rimasto un atleta, soprattutto dentro. Guido Vandone oggi ha 85 anni ed una vitalità degna di quella di un ragazzo. Epigono di Valerio Bacigalupo, anch’egli portiere, è tra gli ultimi testimoni che salirono a Superga dopo il disastro aereo del 4 maggio 1949. Questa è la storia di un ragazzo che a tredici anni sogna un futuro in quel Leggendario Torino scomparso tragicamente sessantasei anni fa.
Com’è cominciata la sua avventura nel calcio?
“E’ iniziata nel 1943 in piena Guerra Mondiale. Giocavo in Piazza d’Armi a Torino con altri ragazzi per divertimento. Ogni volta che giocavamo notavo dietro le porte un signore non molto alto di statura e piuttosto corpulento che ci osservava: si chiamava Calcagno ed era uno degli osservatori della società. Fu lui ad invitarmi a provare. Quando mi presentai c’era Sperone che era allenatore; mi misero in porta e cominciarono a tirare. Cominciò così la mia carriera caclistica. Ben presto ci fu però un’interruzione dovuta al grande bombardamento che subì Torino e nel quale andò quasi distrutta la nostra casa. Per qualche tempo ci trasferimmo con la mia famiglia a Cozzo Lomellina (in provincia di Pavia ma a due passi dal Piemonte n.d.r.). Lì feci il muratore e altri lavoretti per guadagnare qualche soldo. A Torino tornammo nel 1946, ricordo lo stadio Filadelfia distrutto dalle bombe io ripresi ad allenarmi grazie anche alla società che mi dava un piccolo rimborso e mi pagava i pasti. Entrai nelle giovanilie e nel 1947 vincemmo il campionato ragazzi. Quando il Toro morì gli assegnarono lo scudetto, peraltro già vinto, e si decise di giocare le ultime 4 gare con la formazione giovanile e così fecero anche gli avversari. Io ero il portiere di quella squadra. La prima partita la vincemmo contro il Genoa 4-0, il momento più toccante fu quando lessero la formazione; poi battemmo 2-0 la Fiorentina a Torino; quindi 4-0 contro il Palermo mentre l’ultima partita contro la Sampdoria fu molto difficile. Finì 3-2 per noi su rigore ed io beccai due reti”.
Sitografia:
https://it.wikipedia.org/wiki/Associazione_Calcio_Torino_1946-1947
https://it.wikipedia.org/wiki/Grande_Torino
https://it.wikipedia.org/wiki/Serie_A_1946-1947
http://www.ilgrandetorino.net/campionix.htm
http://isolafelice.forumcommunity.net/?t=53388198
https://twitter.com/StadioFiladelfi
https://twitter.com/MuseoDelToro
https://it.wikipedia.org/wiki/Stadio_Filadelfia
http://www.museotorino.it/view/s/33d80965f3234bdead8d3ae9672dc5a0
http://www.wikiwand.com/en/Stadio_Filadelfia
http://rottasutorino.blogspot.it/2014/07/quando-torino-cera-lo-stadium-lo-stadio.html
https://it.wikipedia.org/wiki/Velodromo_Umberto_I
https://it.wikipedia.org/wiki/Motovelodromo_Fausto_Coppi
http://www.mole24.it/2011/10/05/i-4-stadi-di-torino/